L'Arcano inesistente.

Tra i Trionfi c'è chi è Matto e non sa dove stare. C'è chi è Appeso e deve decidere. C'è chi "cerca l'Uomo" con le lampade ad olio e chi è Senza Nome e fa molta paura.
Poi c'è Naeratus: l'Arcano inesistente.

mercoledì 28 dicembre 2011

Le perle nella carne.

S'incamminava nella notte trafitta di stelle con il profumo di un tabacco non suo sulla pelle.
Il tabagismo l'aveva sempre affascinata, purché non fosse il proprio.
Quando le domandarono se volesse da fumare, rispose con garbo: “Solo cavendish. Al cherry”. 
Incassò più di uno sguardo stranito in meno di un mese.
E con una smorfia sotto il rossetto rosso sbavato si chiese cosa le importasse. Fece spallucce e pensò al buio liquido.

Il buio liquido lo trovi nelle notti senza luna e senza speranza. Anche perché, tutto sommato, la speranza te la accendi da sola. La speranza è un'abat-jour. E adesso le lampadine ad incandescenza sono fuori commercio.

Con gli occhi malcelati da riccioli e parrucche spacciava definizioni come si spacciano i sogni
Come si spaccia la droga. 
Preferiva i primi, per quanto i guadagni ormai si stessero facendo magri e il dolore sempre più pericoloso.
Ma anche con i sogni vige l'assuefazione.
Come pure la crisi d'astinenza.

Fu così che, con una pelliccia cucita da sola, corse da una macchina all'altra, cambiando sedile come si cambiano le calze bucate. Già, c'erano anche quelle.
E una bottiglia di whisky. E un tappo al cherry da leccare. E lo smalto che sarebbe dovuto essere sbeccato a quell'ora della notte. Ma reggeva come non mai, ridicolizzando la serietà delle lacrime trattenute in uno sgargiante rosso carminio.
...è la vita.Lo pensava solo in francese. Quando accadeva, precedeva l'esplosione. Le bombe quando scoppiano tra le orecchie lasciano spazio solo al silenzio.
Premette forte la decolletée nera sull'acceleratore. Se l'avessero fermata avrebbero annusato uno Chopard a forma di cuore. “Mi lasceranno andare.” Fece finta di sorridere “...Anche loro.

Pensava alla nobiltà fottuta e alla pelle bianca.
In quel turbinio di psicosi, dove la schiera delle stelle fisse s'inchina a Copernico, si era cucita le perle nella carne e, ballando a occhi aperti nel buio, s'era promessa d'attendere chi fosse stato così abile da fargliele scivolare via. Mentre ripercorreva i suoi giuramenti, e le leccate altrui che ti lisciano l'anima, tirò il freno a mano. Accese il tabacco fermandosi davanti ad un albero solo e concluse, tra sé e sé “farle scivolare via...senza strapparmi di nuovo la pelle di dosso”.

Quanti occhi aveva visto, in così poco tempo. In ogni colore alberga una storia. “Mi mancava solo un racconto...chiaro.”. Sbuffò l'aria caliginosa tra il volante e il finestrino e disegnò uno dei soliti simboli. 
Pensava alle Terre d'Oriente. Ai prati segreti. Alla nebbia che lascia spazio alle radure...miracoli nei quali d'inverno puoi solo sperare. “C'è tanto tempo”, del resto.
Adesso che era mezza stordita da un nuovo bourbon e dall'ossigeno rarefatto, si era appena inventata una favola di pirati, con le onde alte e mare turchese. La battaglia di una notte. 
Sai com'è, per non sentirsi soli...per non sentirsi vuoti. (O svuotati? Ma alla fine...che importa?)
Ci avrebbe trovato Dio, se solo avesse avuto ancora la voglia di fidarsi di lui.
Occhi...Chissà quanti. Nuovi, ma usati. Per cercare. Per trovare. Lo specchio di un'illusione. Il dubbio che tiene in vita.
Si grattò i lividi sugli avambracci e sulle cosce. “...è l'inconveniente di lanciarsi nel vuoto”. Poi guardò le bruciature sulla gola e sulle guance. Nasconderle con il fondotinta sarebbe stato un gioco noioso, adesso che le facevano credere di essere così brava con il trucco.

Quando il motore d'avviamento fu caldo, forse sin troppo, si lanciò in un tunnel di stelle.
E vennero le chiavi nella toppa. E lo scialle d'argento che cadeva a terra. E in punta di piedi, respirando quel luogo dove regnava puzzo di aria fresca, sorrise allo specchio, di fronte al rimmel che aveva retto in modo quasi incredibilmente dignitoso.
Aveva venduto di nuovo mille immagini gloriose di un altro sé. E, tutto sommato, anche di questo sentiva di andare fiera.
...ma è troppo tardi stasera”. Decidendo di lasciare la matita nera sugli occhi, affascinata dall'idea di un cuscino come Sindone Profana tutta personale, si spogliò del vestito di tulle e taffetà.
Il telefono vibrò sulla tavoletta del cesso. “Pensa te, la telepatia...”; e non perse occasione di sorridere.
Aggrottò un sopracciglio e controllò come il taglio sul petto fosse ancora fresco: “A posto, grazie.” 
Mentre rispondeva, le scivolarono le carte dalla trousse dei rossetti. Le cadde l'occhio su un paio di assi e distrattamente giocò per un attimo con i calli delle dita
Fa molto meno male di tutto il resto...Domani, però, passa a prendermi la penicillina.