Correre. Avrebbe voluto che fossero le
sette di sera, mentre tra un incontro e l'altro – tanto per
cambiare – era arrivato già il tramonto. Normalmente sceglieva di
farlo in solitudine, per parlarsi e respirarsi.
Per non dover
dissimulare le smorfie buffe che si dipingevano tra naso e bocca con
ogni fitta al ventre. Anche quelle, del resto, erano solo sue.
Doveva arrivare fino alla cima. Se lo
era promesso...e, più o meno, pensava che ogni promessa fosse un
debito.
Nel mentre, a volte ridacchiando, a
volte no, passava in rassegna le voci del conto economico.
I filari di viti e qualche olivo
segnavano i ricordi. Fotografie già viste. Impressioni di luce. E di DNA. Un po' come le rughe.
Ai vecchi che la fermavano (e che di
rughe ne avevano qualche manciata in più, bisogna pur ammetterlo) e
che la chiamavano con nomi diversi, ma mai davvero il suo, regalava
un cenno col capo.
Qualcuno le chiese cosa stesse cercando. Si
toglieva le cuffie verdi dalle orecchie e rispondeva con...un
sorriso.
Un amico la aveva apostrofata un
pomeriggio: “...Lo fai perché non sai cosa stai cercando. O forse
perché ti piace sin troppo cercare”. Trovò che non era utile
domandarselo oltre.
Le rocce erano colture di muschio e il
rumore della sera, lanciato dalla brezza come in un tiro a porta
vuota, era un libro in braille di storia. Invidiabile, da chi la
storia l'aveva cancellata.
Le venne in mente Bauman che
autografava i suoi saggi di sociologia. Un quadretto accademicamente
simpatico, specie perché non l'aveva mai visto. “In un mondo di
anime liquide, io sto evaporando”. Fece spallucce e ritenne che
sono cose che possono capitare quando il cuore è un circuito senza
ventola di raffreddamento. Avanti.
Pregò, senza farsi vedere,
socchiudendo gli occhi agli ultimi raggi della giornata. Sfioravano
la pelle...quello stesso confine inviolabile che nasconde carne e
sangue. Li imitò usando i mignoli, solo perché la sensibilità
altrove se l'era fottuta da qualche anno. Sorrise. “Corpo.” Sin
troppo grande per uno spirito a cui si è sbagliato il lavaggio. Ne
pativa la sproporzione smaccata.
Tenendo il passo sulla pendenza
s'incontrano delle nicchie. “Ecco...Lì il corpo è perfetto”.
Indicava ai suoi amici immaginari la statua di una madre, in tutto il
suo realismo in miniatura.
In spiaggia glielo avevano detto "Quest'anno sembri una statua!". Un complimento? Un augurio? Si mise a riflettere.
È carne che non ha odore, carne per
cui non si sbanda. Carne di marmo o gesso, senza ammirazione. Non offre piacere. Non offre lacrime. Bah.
Arrivò sulla sommità e rivide quel
ragazzo dai capelli color biondo fantasma, affacciato a una finestra.
La guardò ridendo di compassione...e, forse, un po' anche di sfida. “Ce
l'hai fatta! Di nuovo.”
Lei non ne volle incrociare lo sguardo; tuttavia sentì nitidamente che, mentre si chinava a riprendere fiato e a fissare la
terra, aveva proprio il suo posato sulle spalle.
“Cerco frammenti di meraviglia.”
rispose sussurrando, mentre faceva ruotare lentamente un fiordaliso
lilla tra il pollice e l'indice della mano sinistra.
Chiaro. Dopotutto, c'era chi perdendosi tra i
sentieri in collina aveva ritrovato carte abbandonate. A un altro la
stessa cosa era capitata lungo un fiume, in una sera di nebbia.
O le balenò un vecchio vicino di casa che andava
camminando per fossili e pietre.
Un professore, ricordava, aveva
collezionato farfalle catturandole nei prati e facendosele spedire
dal Brasile.
Beh. Forse quest'ultimo era un po'
troppo di cattivo gusto.
Alzò gli occhi e si voltò di scatto
verso i monti.
“La meraviglia è come i pezzi di
bottiglia smussati dal mare. Ricordi? Li raccoglievamo e li
collezionavamo avidamente...quando tutti ci dicevano che erano
normalissimi pezzi di bottiglia.
Eppure erano gli smeraldi che da
bambini riuscivamo a riconoscerci dentro, che ci rubavano l'amore
dall'anima.”
Il biondo sorrise, senza proferire parola.
“Torno a valle. Ho qualcosa di
prezioso da raccogliere stasera”.
E corse via, abbandonando un fiore sul
muretto.