L'Arcano inesistente.

Tra i Trionfi c'è chi è Matto e non sa dove stare. C'è chi è Appeso e deve decidere. C'è chi "cerca l'Uomo" con le lampade ad olio e chi è Senza Nome e fa molta paura.
Poi c'è Naeratus: l'Arcano inesistente.

mercoledì 24 marzo 2010

Le parole. [parte seconda]

Era voltato l'anno e non restava nemmeno l'odore del tè nell'aria.

Il mezzogiorno era solo un ricordo. Rimaneva il profumo delle quattro del pomeriggio a riscaldare le narici, mentre la luce paglierina che aveva appena vinto sulle nubi gonfie d'acqua filtrava dalle feritoie nelle tapparelle tirate a metà e si disponeva in filari carnosi, evidenziando le danze della polvere al di sopra della sua testa.

Lui era lì, chinato sul pavimento. Il palmo sinistro poggiato tra il parquet e l'ennesimo foglio A4, livido di sudicio e di sferzate di carboncino. I jeans, tirati nell'accosciata, lisi ormai sulle ginocchia, erano colpiti a ritmo sincopato dalla matita nella sua destra, che non accennava a fermarsi.
Quello sguardo fisso a terra, gonfio di rabbia e di sudore, lo volse per un attimo verso est:
i passi che risuonavano pesanti e goffi sul pianerottolo di grès erano come la voce della propria madre, per un udito che non aveva registrato che il Silenzio.

“...Dio...allontanalo...” La mente labile si sforzava controvoglia di rimanere lucida...ma mescolava i pensieri come si mescola l'acqua nell'onda.
“Dio, ALLONTANALO!!!

La preghiera non era mai stata il suo forte e da tempo aveva preso l'aria di una buffa superstizione.
Bestemmiò. Digrignò i denti. sempre più furioso. Sempre più cieco.

L'altro fece un respiro. Passò i polpastrelli sui capelli cenerini bagnati di pioggia fresca.

La pioggia, certe persone, le avvolge in tutte le sue lacrime...e mimetizza le loro.
Per conto suo, la incolpava da tempo immemore per il velo di malinconia in cui si nascondeva, salvo poi smentire tutto all'occasione. Spinse sulla maniglia, senza sforzo.
Aveva gli occhi tristi. Come sempre. E portava nel respiro affannoso l'umidità del cielo.

Entrò col suo passo lento ed importante, di chi dà nell'occhio per natura, e sentì un tuffo allo stomaco nel vederlo inginocchiato al bordo del tappeto. “La porta era aperta...”.

Immerso in quella stanza coperta di polvere e tappezzata di carta e disegni, c'era lui: così giovane e smilzo, liscio in viso...solo una barbetta ramata ad incorniciarne il mento. Impassibile, s'aggrappava alla fissità dello sguardo, bloccava le smorfie a terra e continuava frenetico a segnare i fogli.

Avanzò col suo camminare cadenzato, cercando di non far rumore.
“E' difficile parlare senza...” Un altro passo e gli fu alle spalle “...senza parole”.
Osservava ed inorridiva di fronte ai segni, ai simboli sparsi nel caos primordiale di quel corridoio. Di quella sala. Una partita a scacchi. Cercava un appiglio alla memoria di chi sembrava morto dentro.

Si sedette sul divano verde e giocò per un secondo con la polvere di qualche incenso al fiordaliso spentosi nel posacenere lì davanti.
“Voglio dire...” Si alzò dimostrando il suo dolore e la sua insofferenza “...dev'essere dura non avere simulacri in cui racchiudere il mondo”.

Poggiò la destra sulla spalla di lui e lo invitò dolcemente a una torsione. Lo chiamò per nome.

Si voltò con le guance rigate di lacrime. Vecchie di mesi.

Sembrava forte. Tutto in lui sembrava forte, ma non resistette oltre. “Cosa significa?” lo attaccò, strappando i disegni “Cosa significa tutto questo?!” Con un gesto ampio della mano indicava pareti e terra, indistintamente, prima di scuoterlo aggrappandoglisi con le mani alla base del collo.

Lui chiuse gli occhi e si liberò con delicatezza. Con un pollice asciugò le lacrime dell'altro.
Non ne aveva mai viste sgorgare...Era evidente che avesse sempre aspettato che si confondessero con la pioggia.
O la neve...

Io ti ho aspettato...tu lo sapevi. E non sei tornato che adesso.”

L'altro lo guardò aggrottando le sopracciglia in un moto di colpa e di insicurezza ed ammutolì il respiro.

Lui proseguì. Tu mi dicesti che avrei potuto inventarmene di nuove, di parole per raccontarmi...” scoperse la spalla, mostrò le cicatrici da cui era dilaniata anche la sua pelle. Finalmente non oppose più diniego nel fissarlo in volto.
“Questo” gli costrinse la mano sulle scarificazioni “non era che il modo per gridare quelle che noi due già conoscevamo...”
Gli allontanò il braccio e lo superò, incamminandosi verso lo scaffale delle teiere
“...Ma che tu non hai mai ascoltato”.

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