«Chega de saudade
a realidade é que sem ela
não há paz, não há beleza
não há paz, não há beleza
É só tristeza e a melancolia...»
(V. de Moraes, "Chega de saudade")
Mi manca. Mi manca come l'aria quell'abbraccio stretto. Mi manca il ghiaccio che mi gelava la pelle e mi faceva tremare il sangue. A volte persino la bile.
Mi manca quel sorriso a metà, di chi tutto dice e mai parla. Il silenzio in cui tutto sprofondava. Il silenzio nel giorno. Il silenzio della notte.
Mi manca. Mi manca anche il gabbiano mio amico sui tetti di quel palazzo grigio dietro Kaupmehe 6. Ne studiai le movenze con minuzia, tanto che potrei ancora oggi sostenere un esame sul suo modo di atterrare e ricomporre le penne delle ali.
Mi mancano le crune rosse delle torri: sembravano i merli aguzzi delle labbra. O forse era il contrario? Non lo so più. Non ho più nemmeno il ricordo della certezza, ora che tutto è così nitido, eppure così confuso.
Lo sussurrai in taxi, prima di lasciarti per la prima volta. Aprile deve essere gioioso. Che primavera è senza un sorriso... E mi scesero le lacrime, grondanti, a bruciarmi le guance, fino quasi alle caviglie, sui sedili in vellutino del Tulika 1200. Non mi ricordo nemmeno più la musica. L'autista aveva cambiato stazione dopo un'occhiata rapida al retrovisore. Avrà pensato di piazzare una polka...non gli prestai grande attenzione.
So solo che l'unica immagine che mi tormenta è il lago Ulemiste sulla destra, prima di voltare all'aeroporto.
Aprile deve essere gioioso...e anche Maggio. Ed io ero partita con il sole.
Il ghiaccio era sciolto, restava solo a piccole lastre a macchiare di bianco ovattato il lago. E poi c'erano i fiori. Le viole azzurre, me le ricordo. Ed il profumo delle paste.
Golosa. Cucinavo sola da mesi e pasteggiavo parlando con RaiNews24 sullo schermo del PC...le paste erano state il regalo più ambìto...e forse per questo furono ancora più incredibilmente dolci.
La macchina intraprese la rampa per le partenze e mi sfuggì un rapido sguardo sui tetti lontani. Sui tetti immaginati. Ed iniziò a strabuzzarmi il cuore, perché gli occhi li protessi serrandoli e strizzandoli forte nelle orbite.
Chiusi la portiera. Non mi è mai piaciuto farmi vedere piangere...normalmente cerco di risucchiare le lacrime nelle palpebre e dar la colpa alla polvere o a uno sbadiglio.
E' che avevo iniziato ad assaporare quello che sarebbe stato.
E' che avevo capito tutto solo al momento del distacco.
Ma igatsen sind.
Ma armastan sind.
P.s.: Dimmi una cosa...può esistere la saudade per il Nord?
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